Regola

BOLLA DI PAPA INNOCENZO IV

[2744] Innocenzo vescovo, servo dei servi di Dio. Alle dilette figlie in Cristo Chiara abbadessa e alle altre sorelle del monastero di San Damiano d’Assisi, salute e apostolica benedizione.
[2745] La Sede Apostolica suole acconsentire ai pii voti e benevolmente favorire gli onesti desideri di coloro che chiedono. Ora, da parte vostra ci è stato umilmente richiesto che ci prendessimo cura di confermare con la nostra autorità apostolica la forma di vita, secondo la quale dovete vivere comunitariamente in unità di spiriti e con voto di altissima povertà, che vi fu data dal beato Francesco e fu da voi spontaneamente accettata, quella che il venerabile nostro fratello vescovo di Ostia e Velletri ritenne bene che fosse approvata, come è ampiamente contenuto nella lettera scritta a proposito dallo stesso vescovo.
[2746] Noi pertanto, ben disposti ad accogliere la vostra supplica, ratificando di buon grado quanto sopra ciò è stato fatto dal medesimo vescovo, lo confermiamo col potere apostolico e l’avvaloriamo con l’autorità del presente scritto, nel quale facciamo inserire parola per parola il testo della stessa lettera, che e questo:
[2747] Rinaldo, per misericordia di Dio vescovo di Ostia e Velletri, alla sua carissima in Cristo madre e figlia Donna Chiara abbadessa di San Damiano in Assisi, e alle sorelle di lei, presenti e future, salute e paterna benedizione.
[2748] Poiché voi, figlie dilette in Cristo, avete disprezzato le vanità e i piaceri del mondo e seguendo
le orme dello stesso Cristo e della sua santissima Madre, avete scelto di abitare rinchiuse e di dedicarvi
al Signore in povertà somma per potere con animo libero servire a Lui, noi, encomiando nel Signore
il vostro santo proposito, di buon grado vogliamo con affetto paterno accordare benevolo favore ai
vostri voti e ai vostri santi desideri.
[2749] Per questo, accondiscendendo alle vostre pie suppliche, con l’autorità del signor Papa e nostra,
confermiamo in perpetuo per voi tutte e per quelle che vi succederanno nel vostro monastero e con
l’appoggio della presente lettera avvaloriamo la forma di vita e il modo di santa unità e di altissima
povertà, che il beato padre vostro Francesco vi consegnò a voce e in scritto da osservare e che è qui
riprodotta. Ed è questa:

I. NEL NOME DEL SIGNORE INCOMINCIA LA FORMA Dl VITA DELLE SORELLE
POVERE

[2750] La Forma di vita dell’Ordine delle Sorelle Povere, istituita dal beato Francesco, è questa:
Osservare il santo Vangelo del Signore nostro Gesù Cristo, vivendo in obbedienza, senza nulla di
proprio e in castità.
[2751] Chiara indegna serva di Cristo e pianticella del beatissimo padre Francesco, promette
obbedienza e riverenza al signor papa Innocenzo e ai suoi successori, canonicamente eletti e alla
Chiesa Romana,
[2752] E, come al principio della sua conversione, insieme alle sue sorelle, promise obbedienza al
beato Francesco, cosi promette di mantenerla inviolabilmente ai suoi successori.
[2753] Le altre sorelle siano tenute ad obbedire sempre ai successori del beato Francesco e a sorella
Chiara e alle altre abbadesse, che le succederanno mediante elezione canonica.

II. Dl COLORO CHE VOGLIONO ABBRACCIARE QUESTA VITA E COME DEVONO
ESSERE RICEVUTE

[2754] Quando qualcuna, per divina ispirazione, verrà a noi con la determinazione di abbracciare
questa vita, l’abbadessa sia tenuta a chiedere il consenso di tutte le sorelle e se la maggioranza
acconsentirà, la possa accettare, dopo aver ottenuto licenza dal signor cardinale nostro protettore.
[2755] Se le sembrerà idonea ad essere accettata, la esamini con diligenza, o la faccia esaminare
intorno alla fede cattolica e ai sacramenti della Chiesa.
[2756] E se crede tutte queste cose, ed è risoluta a confessarle fedelmente e ad osservarle con
fermezza sino alla fine; e non ha marito, o se l’ha, ha già abbracciato la vita religiosa con l’autorità
del vescovo diocesano ed ha già fatto voto di continenza; e se, inoltre non è impedita dall’osservare
questa vita da età avanzata o da qualche infermità o deficienza mentale, le si esponga diligentemente
il tenore della nostra vita.
[2757] E se sarà idonea, le si dica la parola del santo Vangelo: che vada e venda tutte le sue sostanze
e procuri di distribuirle ai poveri. Se ciò non potesse fare, basta ad essa la buona volontà.
[2758] Si guardino però l’abbadessa e le sue sorelle dal preoccuparsi per le cose temporali di lei,
affinché ne disponga liberamente, come le verrà ispirato dal Signore. Se tuttavia domandasse
consiglio, la indirizzino a persone prudenti e timorate di Dio, col consiglio delle quali vengano
distribuiti i suoi beni.
[2759] Poi, tosati i capelli in tondo e deposto l’abito secolare, le conceda tre tonache e il mantello.
Da quel momento non le è più lecito uscire fuori di monastero, senza un utile, ragionevole, manifesto
e approvato motivo.
[2760] Finito poi l’anno della prova, sia ricevuta all’obbedienza, promettendo d’osservare sempre la
vita e la forma della nostra povertà.
[2761] Non si conceda a nessuna il velo durante il tempo della prova. Le sorelle possono avere anche
le mantellette per comodità e convenienza del servizio e del lavoro. L’abbadessa poi le provveda di
vestimenti con discrezione, secondo la qualità delle persone, i luoghi e i tempi e i paesi freddi,
conforme vedrà essere richiesto dalla necessità.
[2762] Le giovanette, accolte in monastero prima della legittima età, siano tosate in tondo e, deposto
l’abito secolare, indossino un abito da religiosa, come parrà all’abbadessa. Raggiunta poi l’età
legittima, vestite alla maniera delle altre, facciano la loro professione.
[2763] Ad esse, come alle altre novizie, l’abbadessa assegni con sollecitudine una maestra tra le più
assennate del monastero, la quale le istruisca con cura intorno al modo di vivere santamente da
religiose e alle oneste costumanze secondo la forma della nostra professione. Le medesime norme si
osservino nell’esame e nell’accettazione delle sorelle che presteranno il loro servizio fuori del
monastero; esse però potranno usare calzature.
[2764] Non si ammetta nessuna a dimorare con noi in monastero se non sia stata ricevuta secondo la
forma della nostra professione.
[2765] E per amore del santissimo Bambino, ravvolto in poveri pannicelli e adagiato nel presepio ,
e della sua santissima Madre, ammonisco, prego caldamente ed esorto le mie sorelle a vestire sempre
indumenti vili.

III. DELL’UFFICIO DIVINO E DEL DIGIUNO. DELLA CONFESSIONE E COMUNIONE

[2766] Le sorelle che sanno leggere celebrino l’ufficio divino secondo la consuetudine dei frati
minori, e perciò potranno avere i breviari, leggendo senza canto. Se qualcuna, per un motivo
ragionevole, a volte non potesse recitare leggendo le sue Ore, le sia lecito dire i Pater noster, come le
altre sorelle.
[2767] Quelle invece che non sanno leggere, dicano ventiquattro Pater noster per il Mattutino, cinque
per le Lodi per prima, terza, sesta e nona, per ciascuna di queste Ore, sette; per il Vespro dodici; per
Compieta sette. Inoltre dicano ancora per i defunti sette Pater noster con il Requiem per il Vespro e
dodici per il Mattutino, quando le sorelle che sanno leggere sono tenute a recitare l’Ufficio dei morti.
Alla morte poi di una sorella del nostro monastero, dicano cinquanta Pater noster.
[2768] Le Sorelle digiunino in ogni tempo. Ma nel Natale del Signore, in qualunque giorno cada,
possano rifocillarsi due volte. Con le giovanette, le deboli e le sorelle che servono fuori del monastero,
si dispensi misericordiosamente, come parrà all’abbadessa. Ma in tempo di manifesta necessità, le
sorelle non siano tenute al digiuno corporale.
[2769] Si confessino almeno dodici volte l’anno, con licenza dell’abbadessa. E devono guardarsi
allora dal frammischiare altri discorsi che non facciano al caso della confessione e della salute
dell’anima.
[2770] Si comunichino sette volte l’anno, cioè: nel Natale del Signore, nel Giovedì santo, nella
Resurrezione del Signore, nella Pentecoste, nell’Assunzione della beata Vergine, nella festa di san
Francesco e nella festa d’Ognissanti.
[2771] Per comunicare le sorelle, sia sane che inferme, è lecito al cappellano celebrare all’interno.

IV. DELLA ELEZIONE E DELL’UFFICIO Dl ABBADESSA. DEL CAPITOLO, DELLE
RESPONSABILI DEGLI UFFICI E DELLE DISCRETE

[2772] Nella elezione dell’abbadessa le sorelle siano tenute ad osservare la forma canonica.
[2773] Esse si procurino con sollecitudine di avere il ministro generale o provinciale dell’Ordine dei
frati minori, il quale mediante la parola di Dio le disponga alla perfetta concordia e ala utilità comune
nelle elezioni da farsi.
[2774] E non si elegga se non una professa. E se fosse eletta una non professa o venisse data in altro
modo non le si presti obbedienza se prima non avrà fatta la professione della forma della nostra
povertà. Alla sua morte, si faccia l’elezione di un’altra abbadessa.
[2775] E se talora sembrasse alla generalità delle sorelle che la predetta non fosse idonea al servizio
e alla comune utilità di esse, le dette sorelle siano tenute ad eleggerne, quanto prima possono e nel
modo sopraddetto, un’altra per loro abbadessa e madre.
[2776] L’eletta poi consideri qual carico ha accettato sopra di sé e a Chi deve rendere conto del gregge
affidatole. Si studi anche di presiedere alle altre più per virtù e santità di vita che per ufficio, affinché
le sorelle, provocate dal suo esempio, le obbediscano più per amore che per timore.
[2777] Si guardi dalle amicizie particolari, affinché non avvenga che, amando alcune più delle altre,
rechi scandalo a tutte.
[2778] Consoli le afflitte Sia ancora l’ultimo rifugio delle tribolate perché, se mancassero presso di
lei i rimedi di salute, non abbia a prevalere nelle inferme il morbo della disperazione.
[2779] Conservi la vita comune in tutto, ma specialmente in chiesa, in dormitorio, in refettorio,
nell’infermeria e nelle vesti. E ciò è tenuta a fare allo stesso modo anche la sua vicaria.
[2780] L’abbadessa sia tenuta a convocare a Capitolo le sue sorelle almeno una volta la settimana.
Ivi, tanto lei quanto le sorelle debbano accusarsi umilmente delle comuni e pubbliche mancanze e
negligenze. Ivi ancora discuta con le sue sorelle circa le cose da fare per l’utilità e il bene del
monastero. Spesso infatti il Signore manifesta ciò che è meglio al più piccolo.
[2781] Non si contragga alcun debito grave, se non di comune consenso delle sorelle e per manifesta
necessità, e questo per mezzo del procuratore. Si guardi poi l’abbadessa con le sue sorelle dal ricevere
alcun deposito in monastero, poiché da ciò nascono spesso disturbi e scandali.
[2782] Allo scopo di conservare l’unita della scambievole carità e della pace, tutte le responsabili
degli uffici del monastero vengano elette di comune consenso di tutte le sorelle. E nello stesso modo
si eleggano almeno otto sorelle delle più assennate, del consiglio delle quali l’abbadessa è obbligata
a servirsi in ciò che è richiesto dalla forma della nostra vita. Se qualche volta sembrasse utile e
conveniente, le sorelle possano anche e debbano rimuovere le responsabili e le discrete ed eleggerne
altre al loro posto.

V. DEL SILENZIO, DEL PARLATORIO E DELLA GRATA

[2783] Le sorelle osservino il silenzio dall’ora di compieta fino a terza, eccettuate le sorelle che
prestano servizio fuori del monastero. Osservino ancora silenzio continuo in chiesa, in dormitorio e
in refettorio soltanto quando mangiano. Si eccettua l’infermeria, dove, per sollievo e servizio delle
ammalate, sarà sempre permesso alle sorelle di parlare con moderazione. Possano tuttavia, sempre e
ovunque, comunicare quanto è necessario, ma con brevità e sottovoce.
[2784] Non sia lecito alle sorelle accedere al parlatorio o alla grata, senza licenza dell’abbadessa o
della sua vicaria; e quelle che ne hanno licenza, non ardiscano parlare nel parlatorio, se non alla
presenza e ascoltate da due sorelle.
[2785] Non presumano poi di recarsi alla grata, se non siano presenti, assegnate dall’abbadessa o dalla
vicaria, almeno tre di quelle otto discrete che furono elette da tutte le sorelle come Consiglio
dell’abbadessa. Questa forma nel parlare siano tenute ad osservarla per conto proprio anche
l’abbadessa e la sua vicaria. E quanto si è detto per la grata avvenga molto di rado; alla porta poi non
si faccia in nessun modo. A detta grata sia applicata dalla parte interna un panno, che non sia tolto se
non quando si predica la divina parola o alcuna parli a qualcuno. Abbia inoltre una porta di legno,
ben difesa da due differenti serrature in ferro, da imposte e chiavistelli, affinché, specialmente di
notte, sia chiusa con due chiavi, una delle quali la tenga l’abbadessa e l’altra la sacrestana; e rimanga
sempre chiusa, fuorché quando si ascolta il divino ufficio e per i motivi sopra esposti. Non è lecito
assolutamente a nessuna parlare ad alcuno alla grata prima della levata del sole o dopo il tramonto.
[2786] Al parlatorio poi, vi sia sempre, dalla parte interna, un panno che non deve essere rimosso per
nessun motivo. Durante la quaresima di san Martino e la quaresima maggiore nessuna parli al
parlatorio, se non al sacerdote per motivo di confessione o di altra manifesta necessità Ciò è riservato
alla prudenza dell’abbadessa o della sua vicaria.

VI. LE PROMESSE DEL BEATO FRANCESCO E DEL NON AVERE POSSEDIMENTI

[2787] Dopo che l’altissimo Padre celeste si degnò illuminare l’anima mia mediante la sua grazia
perché, seguendo l’esempio e gli insegnamenti del beatissimo padre nostro Francesco, io facessi
penitenza, poco tempo dopo la conversione di lui, liberamente, insieme con le mie sorelle, gli promisi
obbedienza.
[2788] Il beato padre, poi, considerando che noi non temevamo nessuna povertà, fatica, tribolazione,
umiliazione e disprezzo del mondo, che anzi l’avevamo in conto di grande delizia, mosso da paterno
affetto, scrisse per noi la forma di vita in questo modo: “Poiché per divina ispirazione vi siete fatte
figlie e ancelle dell’Altissimo sommo Re, il Padre celeste, e vi siete sposate allo Spirito Santo,
scegliendo di vivere secondo la perfezione del santo Vangelo, voglio e prometto da parte mia e dei
miei frati, di avere sempre di voi, come di loro, attenta cura e sollecitudine speciale”.
[2789] Ciò che egli con tutta fedeltà ha adempiuto finché visse, e volle che dai frati fosse sempre
adempito.
[2790] E affinché non ci allontanassimo mai dalla santissima povertà che abbracciammo, e neppure
quelle che sarebbero venute dopo di noi, poco prima della sua morte di nuovo scrisse per noi la sua
ultima volontà con queste parole: “Io frate Francesco piccolino, voglio seguire la vita e la povertà
dell’Altissimo Signore nostro Gesù Cristo e della sua santissima Madre, e perseverare in essa sino
alla fine. E prego voi, mie signore e vi consiglio che viviate sempre in questa santissima vita e povertà.
E guardatevi molto bene dall’allontanarvi mai da essa in nessuna maniera per l’insegnamento o il
consiglio di alcuno”.
[2791] E come io, insieme con le mie sorelle, sono stata sempre sollecita di mantenere la santa povertà
che abbiamo promesso al Signore Iddio e al beato Francesco, così le abbadesse che mi succederanno
nell’ufficio e tutte le sorelle siano tenute ad osservarla inviolabilmente fino alla fine: a non accettare,
cioè, né avere possedimenti o proprietà né da sé, né per mezzo di interposta persona, e neppure cosa
alcuna che possa con ragione essere chiamata proprietà, se non quel tanto di terra richiesto dalla
necessità, per la convenienza e l’isolamento del monastero; ma quella terra sia coltivata solo a orto
per il loro sostentamento.

VII. DEL MODO DI LAVORARE

[2792] Le sorelle alle quali il Signore ha dato la grazia di lavorare, lavorino, dopo l’ora di terza,
applicandosi a lavori decorosi e di comune utilità, con fedeltà e devozione, in modo tale che, bandito
l’ozio, nemico dell’anima, non estinguano lo spirito della santa orazione e devozione, al quale tutte le
altre cose temporali devono servire.
[2793] E l’abbadessa o la sua vicaria sia tenuta ad assegnare in capitolo, davanti a tutte, il lavoro che
ciascuna dovrà svolgere con le proprie mani. Ci si comporti allo stesso modo quando qualche persona
mandasse delle elemosine, affinché si preghi in comune per lei. E tutte queste cose vengano distribuite
dall’abbadessa o dalla sua vicaria col consiglio delle discrete a comune utilità.

VIII. CHE LE SORELLE NON SI APPROPRINO DI NULLA DEL CHIEDERE
L’ELEMOSINA E DELLE SORELLE AMMALATE

[2795] Le sorelle non si approprino di nulla, né della casa, né del luogo, né d’alcuna cosa, e come
pellegrine e forestiere in questo mondo, servendo al Signore in povertà e umiltà con fiducia mandino
per la elemosina. E non devono vergognarsi, poiché il Signore si fece per noi povero in questo mondo.
E questo quel vertice dell’altissima povertà, che ha costituto voi, sorelle mie carissime, eredi e regine
del regno dei cieli, vi ha reso povere di sostanze, ma ricche di Virtù. Questa sia la vostra parte di
eredità, che introduce nella terra dei viventi. Aderendo totalmente ad essa, non vogliate mai, sorelle
dilettissime, avere altro sotto il cielo, per amore del Signore nostro Gesù Cristo e della sua santissima
Madre.
[2796] Non sia lecito ad alcuna sorella mandare lettere, o ricevere o dare cosa alcuna fuori del
monastero, senza licenza dell’abbadessa. Né sia lecito tenere cosa alcuna che non sia stata data o
permessa dall’abbadessa. Che se le venga mandato qualche cosa dai parenti o da altri, l’abbadessa
gliela faccia consegnare. La sorella poi, se ne ha bisogno, la possa usare; se no, né faccia parte
caritatevolmente alla sorella che ne ha bisogno. Se poi le fosse stato mandato del denaro, l’abbadessa,
con consiglio delle discrete, le faccia procurare ciò di cui ha bisogno.
[2797] Riguardo alle sorelle ammalate, l’abbadessa sia fermamente tenuta, da sé e per mezzo delle
altre sorelle, a informarsi con sollecitudine di quanto richiede la loro infermità, sia quanto a consigli,
sia quanto ai cibi ed alle altre necessità, e a provvedere con carità e misericordia, secondo la possibilità
del luogo. Poiché tutte sono tenute a provvedere e a servire le loro sorelle ammalate, come vorrebbero
essere servite esse stesse nel caso che incorressero
in qualche infermità.
[2798] L’una manifesti all’altra con confidenza la sua necessità. E se una madre ama e nutre la sua
figlia carnale,
con quanta maggiore cura deve una sorella amare e nutrire la sua sorella spirituale!
[2799] Quelle che sono inferme, potranno usare pagliericci e avere guanciali di piuma sotto il capo;
e quelle che hanno bisogno di calze e di materasso di lana, ne possano usare. Le suddette inferme,
poi, quando vengono visitate da quelli che entrano nel monastero, possano, ciascuna per proprio
conto, rispondere brevemente con qualche buona parola a chi rivolge loro la parola.
[2800] Le altre sorelle, invece, che pur ne hanno licenza, non ardiscano parlare a quelli che entrano
nel monastero, se non alla presenza e ascoltate da due discrete, designate dalI’abbadessa o dalla sua
vicaria. Questa forma nel parlare siano tenute ad osservarla anche l’abbadessa e la sua vicaria.

IX. DELLA PENITENZA A IMPORRE ALLE SORELLE CHE PECCANO, E DELLE
SORELLE HE PRESTANO SERVIZIO FUORI DEL MONASTERO

[2801] Se qualche sorella, per istigazione del nemico, avrà peccato mortalmente contro la forma della
nostra professione e, ammonita due o tre volte dall’abbadessa o da altre sorelle, non si sarà emendata,
mangi per terra pane e acqua in refettorio, alla presenza di tutte le sorelle, tanti giorni quanti sarà stata
contumace, e, se l’abbadessa lo riterrà necessario, sia sottoposta a pena anche più grave. Frattanto,
finché rimarrà ostinata, si preghi affinché il Signore disponga il suo cuore a penitenza.
[2802] Tuttavia, l’abbadessa e le sue sorelle si guardino dallo adirarsi e turbarsi per il peccato di
alcuna, perché l’ira e il turbamento impediscono la carità in se stesse e nelle altre.
[2803] Se accadesse, il che non sia, che fra una sorella e l’altra sorgesse talvolta, a motivo di parole o
di segni, occasione di turbamento e di scandalo, quella che fu causa di turbamento, subito, prima di
offrire davanti a Dio l’offerta della sua orazione, non soltanto si getti umilmente ai piedi dell’altra
domandando perdono, ma anche con semplicità la preghi di intercedere per lei presso il Signore
perché la perdoni. L’altra poi, memore di quella parola del Signore: “Se non perdonerete di cuore,
nemmeno il Padre vostro celeste perdonerà voi, perdoni generosamente alla sua sorella ogni offesa
fattale”.
[2804] Le sorelle che prestano servizio fuori del monastero, non rimangano a lungo fuori, se non lo
richieda una causa di manifesta necessità. E devono andare per la via con onestà e parlare poco,
affinché possano essere sempre motivo di edificazione per quanti le vedono. E si guardino
fermamente dall’avere rapporti o incontri sospetti con alcuno. Né facciano da madrine a uomini e a
donne, affinché per queste occasioni non nasca mormorazione o turbamento.
[2805] Non ardiscano riportare in monastero le chiacchiere del mondo. E di quanto si dice o si fa
dentro siano tenute a non riferire fuori dal monastero nulla che possa provocare scandalo. Se capitasse
a qualcuna di mancare in queste due cose, per semplicità, spetta alla prudenza dell’abbadessa imporle
con misericordia la penitenza. Se invece lo facesse per cattiva consuetudine, l’abbadessa, secondo la
qualità della colpa, col consiglio delle discrete imponga una penitenza.

X. DELLA AMMONIZIONE E CORREZIONE DELLE SORELLE

[2806] L’abbadessa ammonisca e visiti le sorelle e le corregga con umiltà e carità, non comandando
loro cosa alcuna che sia contro la sua anima e la forma della nostra professione.
[2807] Le sorelle suddite, poi, ricordino che hanno rinunciato alla propria volontà per amore di Dio.
Quindi siano fermamente tenute a obbedire alle loro abbadesse in tutte le cose che hanno promesso
al Signore di osservare e che non sono contrarie all’anima e alla nostra professione.
[2808] L’abbadessa poi, usi verso di loro tale familiarità che possano parlarle e trattare con lei come
usano le padrone con la propria serva, poiché così deve essere, che l’abbadessa sia la serva di tutte le
sorelle.
[2809] Ammonisco poi, ed esorto nel Signore Gesù Cristo, che si guardino le sorelle da ogni superbia,
vanagloria, invidia, avarizia, cura e sollecitudine di questo mondo, dalla detrazione e mormorazione,
dalla discordia e divisione.
[2810] Siano invece sollecite di conservare sempre reciprocamente l’unità della scambievole carità,
che è il vincolo della perfezione.
[2811] E quelle che non sanno di lettere, non si curino di apprenderle, ma attendano a ciò che
soprattutto debbono desiderare: avere lo Spirito del Signore e la sua santa operazione, a pregarlo
sempre con cuore puro e ad avere umiltà, pazienza nella tribolazione e nella infermità, e ad amare
quelli che ci perseguitano, riprendono e accusano, perché dice il Signore: “Beati quelli che soffrono
persecuzione a causa della giustizia, poiché di essi è il regno dei cieli. Chi persevererà fino alla fine,
questi sarà salvo”.

XI. DELLA CUSTODIA DELLA CLAUSURA

[2812] La portinaia sia matura come condotta e prudente, e sia di età conveniente. Di giorno rimanga
ivi in una cella aperta, senza uscio. Le si assegni anche una compagna idonea, la quale, la quale
quando ci sarà bisogno, faccia in tutto le sue veci.
[2813] La porta sia ben difesa da due differenti serrature in ferro, da imposte e chiavistelli, affinché,
specialmente di notte, sia chiusa con due chiavi, una delle quali la tenga la portinaia, l’altra
l’abbadessa. E di giorno non si lasci mai senza custodia e sia stabilmente chiusa a chiave. Badino poi,
con ogni diligenza e procurino che la porta non rimanga mai aperta, se non il minimo possibile
secondo la convenienza. E non si apra affatto a chiunque voglia entrare, ma solo a coloro cui sia stato
concesso dal sommo pontefice o dal nostro signor cardinale.
[2814] E non permettano che alcuno entri in monastero prima della levata del sole, né vi rimanga
dopo il tramonto, se non l’esiga una causa manifesta, ragionevole e inevitabile. Qualora per la
benedizione dell’abbadessa, o per la consacrazione a monaca di qualche sorella, o per qualche altro
motivo, venga concesso a qualche vescovo di celebrare la Messa nell’interno del monastero, si
accontenti del minor numero possibile di compagni e ministri che siano di buona fama.
[2815] Quando poi fosse necessario introdurre nel monastero qualcuno per compiervi dei lavori,
l’abbadessa con sollecitudine ponga alla porta una persona adatta, che apra solo agli addetti ai lavori
e non ad altri. Tutte le sorelle si guardino, allora, con somma diligenza, che non siano vedute da
coloro che entrano.

XII. DEL VISITATORE, DEL CAPPELLANO DEL CARDINALE PROTETTORE

[2816] Il nostro visitatore sia sempre dell’Ordine dei frati minori, secondo la volontà e il mandato del
nostro cardinale. E sia tale che ne conosca bene l’integrità di vita. Sarà suo compito correggere, tanto
nel capo che nelle membra, le mancanze commesse contro la forma della nostra professione. Egli
stando in luogo pubblico, donde possa essere veduto dalle altre, potrà parlare a molte o a ciascuna in
particolare, secondo riterrà più conveniente, di ciò che spetta all’ufficio della visita.
[2817] Chiediamo anche in grazia, allo stesso Ordine, un cappellano con un compagno chierico, di
buona fama, discreto e prudente, e due frati laici, amanti del vivere santo e onesto, in aiuto alla nostra
povertà, come abbiamo avuto sempre misericordiosamente dal predetto Ordine dei frati minori; e
questo per amore di Dio e del beato Francesco.
[2818] Al cappellano non sia lecito entrare in monastero senza il compagno. Ed entrando, stiano in
luogo pubblico, così che possano vedersi l’un l’altro ed essere veduti dagli altri. È loro lecito entrare
per la confessione delle inferme che non potessero recarsi in parlatorio, per comunicare le medesime,
per l’Unzione degli infermi, per la raccomandazione dell’anima. Per le esequie poi, e le messe solenni
dei defunti, o per scavare o aprire la sepoltura, o anche per rassettarla, possono entrare persone idonee
a sufficienza, secondo il prudente giudizio dell’abbadessa.
[2819] Inoltre le sorelle siano fermamente tenute ad avere sempre come governatore, protettore e
correttore, quel cardinale della santa Chiesa romana che sarà stato assegnato ai frati minori dal Signor
papa; affinché suddite sempre e soggette ai piedi della stessa santa Chiesa, salde nella fede cattolica,
osserviamo in perpetuo la povertà e l’umiltà del Signore nostro Gesù Cristo e della santissima Madre,
e il santo Vangelo, come abbiamo fermamente promesso Amen.
[2821] Dato a Perugia, il settembre, l’anno decimo del pontificato del signor papa Innocenzo IV.
[2822] Pertanto a nessuno sia lecito invalidare questa scrittura della nostra conferma od opporvisi
temerariamente. Se qualcuno poi presumerà di attentarlo, sappia che incorrerà nello sdegno di Dio
onnipotente e dei suoi beati apostoli Pietro e Paolo.
Dato in Assisi, il 9 agosto, l’anno undicesimo del nostro pontificato.